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Alle radici della storia

  • V.Brizzi - M. Lucaroni
  • 19 ott 2016
  • Tempo di lettura: 5 min

Trattare della storia dell’arco è un po’ come trattare della storia del genere umano; per il nostro scopo[1], faremo brevissimi riferimenti ad alcune civiltà i cui usi e costumi hanno lasciato testimonianze numerose e importanti.

Gli archi più evoluti e completi trovati in Europa, risalgono a circa 9.000 anni fa e sono concentrati prevalentemente nel nord Europa (Scandinavia, Germania, Danimarca) grazie alle particolari aree geologiche (terreni acquitrinosi, torbiere) che ne hanno reso possibile la conservazione. Da un rigoroso punto di vista temporale la datazione del primo arco rinvenuto in stratigrafia corrisponde a 17.737 ± 165 cal BP a 15.737 ± 165 cal BC con il più antico reperto di Mannheim[2] e quello successivo (12,680-11.590 cal BP) di Stelmoor[3] (entrambi del Maddaleniano finale, nel nord della Germania). Da un punto di vista indiziale e arretrando nel tempo, il ritrovamento di un gran numero di punte di freccia in selce, con peduncolo e alette del periodo Solutreano, rende plausibile l’esistenza dell’arco e delle frecce alcune migliaia di anni addietro, anche se nessun reperto riconducibile all’arco è mai stato trovato nelle stratigrafie archeologiche associato alle punte di freccia. Inoltre, recenti studi sudafricani[4] documentano l’uso di punte di proiettile in pietra di piccole dimensioni con tracce di collante vegetale, ben 70.000 anni fa e questo dovrebbe far riflettere. D’altra parte, non appena arco e freccia sono utilizzati come un insieme efficace di strumenti, lo sviluppo cognitivo è espresso come nuova simbiosi tecnologica, cioè nella capacità di ideare una serie di strumenti distinti, tuttavia interdipendenti. Tali set di strumenti complementari sono in grado di scatenare nuove proprietà, inconcepibili senza l’attiva manipolazione simultanea di un altro strumento e di conseguenza, la flessibilità del processo decisionale e di azione è amplificato. Le testimonianze archeologiche di tale modularizzazione concettuale e tecnologica amplificata comporta una serie di complessità e flessibilità cognitive, oltre che comportamentali, fondamentali per il comportamento umano di oggi. L’ipotesi, sollevata da un gruppo di scienziati dell’Università di Città del Capo, sarà senz’altro suscettibile di future straordinarie scoperte.


Il periodo di “invenzione” dell’arco, si può quindi far risalire con ragionevole approssimazione al Paleolitico superiore e con certezza tra la fine di questo periodo e il primo olocene (iniziato circa 11.700 anni fa). In questo scenario di alternanze climatiche, l’uomo, poco alla volta, passò da una vita nomade a una più sedentaria legata alle stagioni e ai cicli delle prime fasi dell’agricoltura. Inoltre, sempre a causa dei cambiamenti climatici, cambiarono gli scenari di caccia e si rese necessaria l’evoluzione delle armi: dalle lance e dai propulsori per i grandi spazi aperti, si passò all’arco che permetteva di ottenere risultati efficaci anche in zone “chiuse” come i boschi e le foreste. Con l’avvento della pastorizia e dello sfruttamento intensivo della terra, l’arco resta in uso per la caccia (che rimane, seppur marginalmente, fonte di sussistenza) ma soprattutto diviene strumento di combattimento. Nella preistoria recente, nel Neolitico e nell’Età del Rame, l’arco trova spazio soprattutto nelle scaramucce e nel close-combat, senza strutturarsi ancora come componente tattica dello scontro tra gruppi armati. Nella media età del Bronzo, grazie ad una generale e progressiva strutturazione sociale mutata (dal Clan alla Tribù, infine al Chiefdom) diventa parte integrante dei piccoli eserciti organizzati grazie anche alle influenze “orientalizzanti”.

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Già dalla prima Età del Ferro (800 anni prima di Cristo) la Cultura greca, la più raffinata d’Occidente, destinata progressivamente a indirizzare la storia delle popolazioni mediterranee, stigmatizza il ruolo del guerriero impavido avvicinandogli altri attributi e armi. Vedremo come questa concezione influenzerà la cultura militare medievale dell’occidente: l’oplita, il modello del soldato greco per eccellenza, cerca l’onore in battaglia con lancia e spada, disprezza (pur sfruttandoli in battaglia) arcieri, frombolieri e lanciatori di giavellotto.[5] Dalle guerre delle città stato fino all’epocale scontro con la civiltà persiana, il cozzo delle schiere compatte degli opliti con 40 chilogrammi di fardello di armature e accessori in bronzo accelera il passo e influenza non solo la cultura romana ma anche quelle successive.

Nelle legioni romane gli arcieri avevano un ruolo importante, anche se erano costituiti soprattutto da “ausiliari” appartenenti a culture orientali: il legionario, come l’oplita, traeva la sua fama dalla forza d’urto degli scudi, del gladio e del pilum. La funzione tattica dell’arciere in Occidente, si esplica soprattutto nel “fuoco d’artiglieria” della nuvola di frecce che colpisce in maniera indifferenziata a distanza la controparte armata mentre questa si scontra in campo aperto, assale il villaggio e le prime fortificazioni. In epoca Bizantina, quando l’impero romano d’Oriente cerca di ripristinare da Costantinopoli i fasti e i poteri della tradizione occidentale ormai compromessa dalle invasioni barbariche, gli arcieri assumono comunque sempre più importanza e vengono scritti i primi trattati. Anche se in lingua greca o latina, è evidente l’influsso della cultura e soprattutto della visione militare orientale.[6]


In Oriente, infatti, le cose vanno diversamente: l’arco e le frecce non solo sono rispettati (e quindi anche gli arcieri) ma addirittura diventano attribuiti del rango dei nobili, esempio ne è l’Egitto, dalle prime dinastie a seguire. È il faraone che con la sua forza piega archi di incommensurabile robustezza, trapassando “porte di legno spesse un cubito”, in India le virtù dell’arciere sono le stesse che nel resto dell’Oriente ma la “forza” è la virtù dei Raja, la precisione, la sola accuratezza nel colpire il centro, è prerogativa del paria, e la stessa cosa avviene nelle civiltà della mezzaluna fertile, tra l’Indo e l’Eufrate. I popoli più a Nord nelle steppe fecero dell’arco (e del cavallo) simbolo e mezzo di conquista. L’arciere a cavallo negli eserciti Mongoli e nelle bande Tartare aveva una posizione di assoluto rilievo.[7] Nell’antica Cina il tiro con l’arco, assieme alla guida dei carri, è la più importante arte liberale perché dimostra le virtù e i meriti dei principi. Il guerriero dal cuore puro colpisce sin dal primo colpo il bersaglio. La freccia è destinata a colpire il nemico, ad abbattere ritualmente l’animale emblematico, l’azione di mira distrugge le forze tenebrose e nefaste. Perciò soprattutto l’arco di legno di pesco con frecce di artemisia o biancospino è un’arma da combattimento e al tempo stesso uno strumento di esorcismo.




[1] Riteniamo che lo studio della tecnica antica dell’arco lungo nordeuropeo, obiettivo primario della tesi, in realtà necessiti di un suo inquadramento storico e sociale.


[2] Rosendhal et al.2006


[3] Rust 1943


[4] Lombard e Pargeter 2008, Lombard, M., & Phillipson, L. ,2010, Lombard e Haidle 2012


[5] Questa subordinazione voluta allo scontro faccia a faccia, a breve distanza, spiega un oggetto di disprezzo universale nella letteratura greca: coloro che combattono a distanza […] possono uccidere la fanteria “buona” assolutamente per caso e senza correre grossi rischi. Peggio ancora, agli occhi dei greci, erano spesso individui che provenivano dagli strati inferiori della società, che non potevano permettersi un’armatura, oppure reclute semi-ellenizzate (Hanson 2001)


[6] Flavio Renato Vegezio, IV e V secolo: De Re Militari; Anonimo: IV e V secolo De Rebus Bellicis; Giulio Africano Kestoi metà III secolo (→Peri Toxeias); Anonimo bizantino, seconda metà VI secolo: Peri Strategikon (→ Peri Toxeias); Procopio di Cesarea, seconda metà VI secolo: De Bello Persico; Pseudo Maurizio, seconda metà VI secolo: Strategikon; Leone IV imperatore, fine nono secolo: Taktika.


[7] L’arciere cavallerizzo orientale aveva esigenze diverse dalla sua controparte europea che, anche se spesso dotato di cavallo, di solito scendeva per tirare. Le feroci incursioni orientali erano più basate sulla velocità d'azione e sul valore individuale, a confronto dei più statici piani di battaglia occidentali.


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